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Contesti, Paradossi e Storie: crescere nella complessità

Contesti, Paradossi e Storie: crescere nella complessità
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Tra i tanti insegnamenti che la pandemia ci sta offrendo, trovo che due in particolare abbiano particolare rilevanza:

  1. Ci siamo accorti di essere davvero “connessi” gli uni agli altri (a tal punto che ci viene ricordato di “distanziarci”);
  2. Viviamo in un mondo estremamente “complesso”, incerto, ambiguo, volatile.

Complessità e interconnessione sono due aspetti che popolano le nostre vite. E le condizionano, in ogni momento. E ci mettono nella condizione di trovarci con tante domande a cui non sappiamo dare risposta.

Nessuna novità, in realtà: forse è sempre stato così. La pandemia ce ne sta dando conferma con grande evidenza e intensità. 

Fatichiamo ad ammetterlo, ma se siamo onesti non sappiamo che pesci pigliare, in situazioni così.

Siamo disorientati, confusi, sembra che la spia che segnala il nostro livello di stress sia sempre accesa, ad indicarci che siamo al limite. E possiamo rapidamente essere preda del panico.

Abbiamo paura di non avere controllo su ciò che accade. E quindi tendiamo spesso a voltarci dall’altra parte e negare a noi stessi una evidenza che non ci piace: non abbiamo il “controllo”.

Ogni contesto che viviamo è un sistema complesso che interagisce in ogni momento con altri sistemi complessi e nel contempo si trasforma, evolve, cambia. Non è già più quello di prima.

C’è altro. C’è ancora altro. E qualcosa non c’è più.

Complessità e interconnessione.

Noi, che tendiamo sempre a considerarci gli “osservatori” del sistema, ne siamo sempre parte: l’osservatore è sempre parte del sistema che osserva, lo influenza e ne è influenzato. 

Nel momento in cui, cercandone il significato, lo descrive, in quello stesso momento lo modifica. E, nel descriverlo, nel pensarlo, nell’osservarlo, ne subisce l’influsso. 

Possiamo provare a sperimentarlo, ogni occasione è buona per farlo: mentre osserviamo qualcosa (un paesaggio, un libro, il nostro team), proviamo a notare che cosa cambia dentro e fuori di noi.

Sostiamo un momento sulla possibilità che “dentro” e “fuori” possano essere termini fuorvianti, che non ci sia un “dentro” e un “fuori”. Siamo comunque “dentro”. Siamo interconnessi e siamo interdipendenti. Ogni aspetto che osserviamo “là fuori” lo è. 

Non siamo spettatori di panorami. 

Siamo dentro i panorami che osserviamo. 

Il potere del contesto 

Quello che in un determinato momento siamo in grado di percepire con i sensi è ciò che chiamiamo “contesto”. 

E il contesto è anche generato dal tipo di conversazioni a cui partecipiamo, dai libri che leggiamo, i paesaggi nei quali ci immergiamo (fisici o metaforici).

Ciò ha conseguenze enormi che spesso, pur essendo sotto i nostri occhi, tendiamo a ignorare.

Le nostre relazioni e i nostri comportamenti, come ci muoviamo, come ci sentiamo, le sensazioni del corpo, le parole che diciamo, i gesti che compiamo, i pensieri che emergono, ciò che tendiamo a credere, ciò che riteniamo importante e ciò che chiamiamo “valori”, tutto è condizionato dal contesto in cui ci troviamo

Alla fine, sviluppiamo la nostra visione del mondo e la nostra identità in funzione di questo.

E possiamo scegliere. Forse, una condizione essenziale e preliminare per poter scegliere è “vedere”.

Ecco alcune domande che, mentre siamo immersi dentro un contesto, possiamo offrire a noi stessi:

  • Quanto sentiamo grande e potente quel contesto? 
  • Quanta energia ci chiede? Quanta energia ci dà?
  • Su quali altri contesti della nostra giornata, della nostra vita ha impatto?
  • Su quali altre persone che sono in relazione con noi ha impatto?
  • Chi sono i nostri amici? Che relazione hanno queste amicizie con i contesti che attraversiamo?
  • Come sono condizionati i nostri criteri di scelta (dei vestiti, dei luoghi di vacanza, di come spendere i soldi, di quale partito votare, di come scegliamo i collaboratori, ecc.)?
  • Aggiungi tu altre domande che stimolano la tua sensibilità a “vedere”.

Per concretizzare, scegli per semplicità dei contesti “spaziali”. In realtà il luogo fisico è solo un contenitore di energie, sono le energie che ci interessano. 

Prova, ad esempio, ad andare un sabato pomeriggio in un centro commerciale e passaci un’ora. Oppure in una biblioteca. In una chiesa. In uno stadio. Entrare nella reception della tua azienda come se lo facessi per la prima volta. Guardati intorno, i colori, le forme, gli oggetti, gli spazi vuoti e quelli pieni, la luce, gli odori, il movimento delle persone, le posture, i toni delle voci, le espressioni facciali. 

Sosta per un momento e “senti” come ti senti, osserva quali sono i tuoi pensieri, i tuoi desideri.

Osserva dove si posa la tua attenzione. 

Prova a metterti in contatto con il flusso di energia che si è generato, “sentila”. 

Chiediti che cosa ti è stato chiesto o che cosa hai ricevuto. Che cos’è questo scambio, che risultato ha prodotto in te? Che effetti vedi intorno a te? 

Senti chi, nel frattempo, stai diventando.

Ecco: quello è il potere del contesto.

La pandemia, il riscaldamento globale sono forse il frutto della nostra navigazione collettiva e inconsapevole dentro a contesti che ci hanno portato fino a qui. 

Continuando a navigare dentro agli stessi contesti, negli stessi modi, con gli stessi pensieri, gli stessi comportamenti, non faremo altro che dare ulteriore energia a quei contesti, amplificandone gli impatti, rendendoli “de-generativi”.

I nostri comportamenti, le nostre relazioni non muteranno di molto se non avremo il coraggio di trasformare i contesti nei quali avvengono.

Il paradosso della complessità e dell’interconnessione

È un paradosso, ma, come dice Nora Bateson, non abbiamo tempo di avere fretta. E quindi possiamo fermarci, sostare. Vedere che il “nostro” contesto è limitato, non è sufficiente.

Per “vedere” qualcosa in più abbiamo bisogno di aprirci ad altri contesti, connetterci con altre vite, lasciarci contaminare e arricchire da altre prospettive, ampliareespandere i nostri contesti, andare oltre la nostra consueta capacità di vedere e quindi di descrivere, di raccontare.

Il paradosso della complessità e della interconnessione è che per conoscere non serve capire.

Semplificare la complessità per capirla, significa ridurla a qualcosa di “comprensibile” (com-prendere, cioè afferrare, incatenare, tenere in pugno): è una tentazione sensata, ma non credo ci aiuti a venir fuori dal pantano. 

Per navigare nella complessità e nell’interconnessione, se vogliamo essere in grado di “vedere” meglio, può essere utile farci domande, anziché darci risposte, “aggiungere altri contesti” anziché semplificare i contesti in cui ci troviamo, arricchire la visione con connessioni

Fare spazio ai paradossi, anziché tentare di eliminarli.

Smontare le storie che ci siamo raccontati finora (credendo che fossero le uniche possibili e dando loro il nome di “realtà) e provare a raccontare storie nuove

Raccontare storie individuali e storie collettive. 

Ascoltare. Ascoltare di più

Scoprire quale valore nuovo possono avere le parole che usiamo e che ascoltiamo, se le scegliamo con cura, le lasciamo andare le profondità, le lasciamo viaggiare come “onde” intenzionali, dentro e fuori di noi.

Creando nuovi contesti e significati e storie, anziché accontentarci di quelli che ci illudiamo di conoscere.

Con una domanda e un paradosso, che mi pare utile sottolineare.

  • La domanda: che cosa c’è di davvero essenziale qui per poter iniziare a scegliere di liberarci di ciò che essenziale non è?
  • Il paradosso: intuire l’essenziale mentre scopriamo che, sempre, anche altro lo arricchisce.

Nei nostri progetti di sviluppo consideriamo tutti questi aspetti 

Arricchisci la conversazione e il dialogo.

 

Delfino Corti è Senior consultant e facilitator in Impact Italia. Lo puoi contattare qui.