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Conversazioni che connettono - La pratica del Circle

conversazioni che connettono immagine di un ponte
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In breve

Possiamo vivere conversazioni profonde e generative a partire da una Intenzione condivisa. L’Intenzione è dove decidiamo di focalizzare la nostra Attenzione: l’Intenzione guida l’Attenzione. E’ qualcosa di vivo e di dinamico. L’Intenzione non può essere forzata o, peggio, “inculcata”: due verbi che la accompagnano sono “Invitare” e “Ospitare”. Ci si può prendere cura di essa, come ci si prende cura di alimentare continuamente il fuoco del camino. La pratica del Circle è un bell’esempio di come creare le condizioni per vivere conversazioni generative. Le Tre Pratiche e i Tre Principi del Circle possono essere di ispirazione per le nostre conversazioni e sono un modo per prenderci cura della nostra Intenzione condivisa.

I Tre Principi:

  1. La Leadership ruota tra i partecipanti
  2. La Responsabilità è condivisa
  3. Ci si prende cura dell’Integrità del gruppo

Le Tre Pratiche:

  1. Ascolta con attenzione
  2. Parla con Intenzione
  3. Cerca sempre il bene del Gruppo

L’Inclusione può arrivare dalla ricerca condivisa di Chiarezza e dall’umile presa d’atto che invitare a una conversazione senza la chiarezza del perchè si formula l’Invito potrebbe non essere un atto inclusivo.

Un bell’invito che riassume il lavoro interiore continuo che ci permette di crescere in conversazioni generative (incluse quelle con noi stessi) è: “Caring Self, Others and the Whole”, prenditi cura di te stessa, degli altri e del contesto in cui ti trovi.

Con l’avvento di Internet e, più recentemente, dei Social Media, le possibilità di interconnessione si sono moltiplicate negli ultimi anni a tassi esponenziali: è davvero impressionante il volume di conversazioni “digitali” che si dipanando attraversando in un istante tutto il pianeta.

A volte queste conversazioni ravvivano le nostre vite, ci orientano, ci connettono, come fili virtuali che ci collegano e illuminano il pianeta.

Alcune sono luminose e fugaci, nascono e muoiono come stelle cadenti.

Altre mantengono un bagliore che dura nel tempo, offrendo calore, colore e continuità alle nostre relazioni.

Alcune sono scintillanti e infuocate, al punto da suscitare addirittura irritazione.

Altre aprono connessioni potenti e piene di luce con persone a cui vogliamo bene e che magari sono lontane.

Alcune ci mettono in contatto diretto con perfetti sconosciuti, i cui punti di vista possono sembrarci estranei o addirittura inverosimili, al punto che ci vien voglia di troncare in fretta. Altre volte, è proprio il fatto di essere in contatto con qualcuno che non conosciamo affatto che apre possibilità di nuove e sorprendenti scoperte. E poi, in fondo, ci sembra che le conversazioni “virtuali” proprio non siano abbastanza. Ci affidiamo alle possibilità di connessione che offre la tecnologia e allo stesso tempo ci scopriamo a lamentarci sempre più spesso della mancanza di una reale interazione umana: ci manca un contatto diretto, “face-to-face” e abbiamo nostalgia delle interazioni “heart-to-heart”, cuore a cuore. Ad essere onesti, le nostre vite e i nostri programmi sono così intasati di impegni da impedirci di rallentare e parlarci davvero. Sembra una forma di “dipendenza” collettiva dal “fare”. Capita che quando siamo impegnati a fare qualcosa, tendiamo a farlo velocemente, discutiamo del passato e del futuro e ci perdiamo la “presenza”, ovvero la spontaneità e la pienezza di questo preciso momento. Immersi in questa cultura ad alta velocità che si affida al “virtuale”, se davvero vogliamo un contatto più diretto, più intimità e conversazioni più profonde e significative, possiamo volgere la nostra attenzione e la nostra intenzione proprio a questo, valorizzandolo, coltivandolo, facendolo diventare una priorità. E una pratica.

Potremmo cominciare con il fare una pausa e riflettere sulle seguenti domande:

·l’ultima volta che abbiamo avuto una conversazione significativa, profonda, intensa, coinvolgente, che cosa è successo? Da che cosa è dipeso?

In mezzo a tante opportunità per fare conversazioni, a tale molteplicità di identità, contesti culturali, differenze, preferenze personali, che cos’è che fa di una conversazione una buona conversazione, una che davvero ci dia soddisfazione?

In che modo potremmo impegnarci in scambi costruttivi e dinamici che includano le differenze, specialmente quando c’è in gioco qualcosa di importante ?

(prima di proseguire, prova a stare ancora un po’ con quelle domande)

Intenzione e Struttura

Ecco una prospettiva che a me piace molto.

Credo che avere una Intenzione condivisa sia un fondamento essenziale, a mio avviso il più importante, per avere conversazioni profonde e significative. Ho deciso quindi di dargli uno spazio dedicato a chiusura dell’articolo. Per poter sostenere l’Intenzione condivisa e non lasciare che sia un semplice enunciato evocativo, ma un fuoco che muove, serve ancorarsi ad alcuni principi guida, con il sostegno di alcune pratiche tanto semplici quanto potenti. Queste pratiche, come vedremo, hanno più il sapore di rituali che di semplici “mezzi”: un rituale è una serie di azioni o gesti simbolici eseguiti in un ordine specifico, che evocano un significato profondo. I rituali marcano eventi importanti, esprimono significati o aprono alla connessione. La ripetizione è una delle caratteristiche dei rituali. Ma a differenza di una semplice abitudine, ovvero un comportamento che tendiamo a ripetere, un rituale ha un significato simbolico o cerimoniale più profondo, invita e coinvolge di più la nostra consapevolezza e conferisce un senso di importanza, quasi di sacralità, a ciò che facciamo. I principi guida (e le pratiche che li mettono in moto e li sostengono) ci aiutano a trovare direzione quando la conversazione entra in territori più sfidanti, meno familiari o addirittura sconosciuti, ad esempio quando le conversazioni iniziano a diventare ansiogene o divisive.

Una metafora

E’ inverno e inizia ad imbrunire. Immaginiamoci seduti insieme ad altri amici in un luogo all’aperto, dove abbiamo deciso di passare la notte. Qualcuno propone di accendere un falò e di sedersi lì intorno insieme per riscaldarci. La proposta trova quasi tutti d’accordo e si decide di procedere. Poco a poco, troviamo tutti un posto dove sederci, in modo che ciascuno possa vedere tutte le altre persone. Qualcuno raccoglie della legna e iniziamo a disporla al centro.

Il modo in cui siamo seduti e il modo con cui disponiamo i rami per poter accendere il fuoco sono i principi e le pratiche e costituiscono ciò che mi piace chiamare la “Struttura” della nostra riunione. Il fiammifero che darà inizio al falò è l’Intenzione. La proposta è l’Invito.

Si preparano i rami, li si dispone con cura in modo che la fiamma possa prendere energia, si può utilizzare un po’ di paglia o carta e si può scegliere il punto e il momento più appropriato per dare avvio all’accensione. Sappiamo che non basterà prendersi cura del fuoco solo al momento dell’accensione, ma dovremo occuparcene anche dopo, spostando i rami, creando più spazio per far affluire ossigeno alla combustione, aggiungendo di tanto in tanto qualche ramo nuovo. In questo modo, mentre ci si prende cura della disposizione dei legni, dei vuoti e dei pieni, la fiamma può ravvivarsi e dare energia. Troppa “Struttura” rischia di attirare l’attenzione su dettagli non utili e fa perdere di vista il centro, ovvero il fuoco, l’Intenzione: come quando si decide che chiunque e in qualunque momento può mettere legna sul fuoco e, sull’onda dell’entusiasmo, iniziamo tutti a aggiungere il nostro ramo: poco dopo, la fiamma rischia di soffocare, per mancanza di spazi vuoti attraverso i quali può passare l’aria, vitale per la combustione. Altresì, una Struttura non curata, non frutto di scelta e di attenzione, una Struttura assente o una Struttura rigida o artificiosa non permetteranno alla fiamma dell’Intenzione di ancorarsi e trovare punti di appoggio sui quali iniziare la sua evoluzione o non saranno in grado di adattarsi alle evoluzioni della fiamma, o semplicemente produrranno noia: come se accendessimo il fuoco usando solo carta e paglia o ci affidassimo alla fiamma perfetta, regolare e monotona di un fornello a gas. A me piace dire che la “Struttura” è al servizio dell’Intenzione. Non viceversa. La “Struttura” si adatta per “invitare” l’Intenzione e per “ospitarla”. “Invitare” e “Ospitare”: sono verbi che mi piacciono moltissimo e li uso spesso, perché denotano il tipo di approccio a sé, gli altri e al contesto, un approccio che, mentre propone, invita, apre, valorizza i contributi e richiama alla responsabilità, all’equilibrio, alla creatività. Invitare e Ospitare sono gesti “da cuore a cuore”. In molte tradizioni e culture, fin dall’antichità (nativi americani, comunità indigene africane, nelle tradizioni induiste e buddiste, nelle comunità cristiane, ebree, islamiche, quacchere), sono stati proposti diversi principi guida e diversi rituali (“Strutture”) per poter vivere conversazioni significative. Propongo quello che conosco e pratico da una decina d’anni e che continua ad essere un luogo del cuore fertile e generativo per chi vi partecipa.

Il Circle

Il “Circle” (o Cerchio), ad esempio, è una pratica la cui struttura semplice e potente affonda le radici in tradizioni indigene ed è stato ripreso, più recentemente, in molte comunità spirituali contemporanee, che lo utilizzano come spazio sacro di condivisione, guarigione, trasformazione. E’ alla base anche di molte pratiche di consenso e di dialogo in gruppi di crescita personale. Inoltre, anche molte metodologie di facilitazione del dialogo e pratiche di comunicazione non violenta incorporano elementi di ascolto empatico e di condivisione tipiche del Cerchio. La struttura del Cerchio ruota intorno alla formulazione di una Intenzione e di un Invito: l’Intenzione è il motivo per cui si vuole essere lì ed è anche ciò a cui tendere in ogni momento. L’Invito è a esserci così come si è e a portare ciò che si è dentro al Cerchio e a mettere l’Intenzione al centro del Cerchio.

Immagine del cerchio: intenzione al centro

Nella struttura semplice e potente del Cerchio, ciascuno è invitato ad affidarsi e lasciarsi guidare da tre principi e tre pratiche guida.

I Tre Principi del Circle

1. La Leadership ruota tra i membri del Circle

La modalità con cui si svolge una conversazione fa emergere lo stile di Leadership che alberga nel gruppo, fa emergere le dinamiche di potere (esplicite e implicite), fa affiorare i bias, le credenze, i condizionamenti e li può rendere visibili. Oppure no. Sancire come Principio fondante che non c’è una leadership precostituita (per ruolo, per anzianità, per esperienza, per posizione, carattere o per qualunque altro motivo) di cui qualcuno può o debba farsi carico libera il gruppo e i partecipanti da un peso. Al contempo, conferisce al gruppo (e a ciascuno che ne fa parte) la responsabilità di non tirarsi indietro quando è il momento di prendersi la Leadership. E’ bello e utile sapere che quando è il nostro turno di parola, abbiamo il Potere di dire ciò che vogliamo dire, come lo vogliamo dire. Se lo vogliamo dire, se è il momento giusto per noi e per il gruppo. E’ un Potere importante, perché dopo che l’avremo esercitato la conversazione non sarà più la stessa di prima, ma sarà imbevuta di ciò che avremo detto e reso esplicito e del modo che avremo scelto per farlo (o non farlo). Usare quel potere con responsabilità è una atto di Leadership che ha una sua sacralità. E’ bello riconoscerlo e condividerlo come principio.

2. La Responsabilità è condivisa per garantire la qualità dell’esperienza

Ogni conversazione è una opportunità di vivere una esperienza collettiva di apprendimento, di trasformazione, di crescita. A volte persino di guarigione. Il fatto che la Leadership ruoti nel gruppo, porta con sé l’altro principio, che ha a che fare con la Responsabilità di ciascuno a favore del bene del gruppo. Quando si è nel Cerchio, si è responsabili tutto di ciò che nel cerchio avviene, della qualità dell’esperienza, dell’ascolto, delle interazioni. Dell’apertura di opzioni innovative e creative. Proviamo a pensare alle nostre conversazioni come una occasione in cui ricordarci di questo e farlo accadere, prendendoci non solo il “pezzo che ci spetta”, ma condividendo anche i “pezzi” degli altri membri del gruppo, come se fossero nostri.

3. Ci si affida all’Interezza e Integrità del gruppo, anziché alle agende personali di ciascuno

Al centro c’è l’Intenzione condivisa, intorno c’è il gruppo che ne vuole fare qualcosa, vuole lasciarsi trasformare da quell’Intenzione e vuole farla diventare l’occasione per scoprire insieme qualcosa di nuovo. Dopo una conversazione in Circle, il gruppo non è più lo stesso di prima, ciascun partecipante non è più lo stesso di prima. Il proposito del principio con il quale ci si affida all’Interezza e all’Integrità del gruppo è proprio questo: curare la qualità delle interazioni in modo che ci sia connessione e non disconnessione, integrazione e non dis-integrazione, esperienza condivisa e non vasi non-comunicanti. Ciò non significa affatto trovare forzosamente il consenso o l’accordo su ogni punto: a volte questo non è scontato e a volte non è neanche possibile. In questo caso, Interezza e Integrità del gruppo significa prenderne atto in modo responsabile, prendersi cura del modo con cui NON ci troviamo d’accordo, farne una occasione di maggiore connessione, anziché di separazione. Ebbene sì: si può essere connessi e vicini gli uni agli altri anche quando la si pensa in modo diverso.

In uno dei Cerchi di cui sono parte, che si chiama GAIT, abbiamo esplicitato questi tre principi in un’unica frase, che è al centro di ogni nostra conversazione, sia essa tra due persone che tra cento (e anche nelle conversazioni continue che ciascuno di noi ha con se stesso). La frase suona così:

“Caring Self, Others and the Whole”

che tradotta suona più o meno così “Prenditi cura di te stesso, degli altri e dell’intero”. Ciò significa coltivare l’attenzione e la premura non solo per il proprio benessere, ma anche per il benessere degli altri e dell’intero contesto in cui ci troviamo. Sottolinea l’idea che una vera e profonda cura è possibile solo quando si va oltre se stessi e ci si estende verso la comunità e l’ambiente in cui siamo immersi. È un richiamo a considerare l’interconnessione tra gli esseri, tra il nostro benessere personale, il benessere degli altri e la salute del mondo in cui condividiamo la nostra esistenza.

Le Tre Pratiche del Circle

1. Ascolta con Attenzione

“Ascolto, dunque sei”

Se volessimo condensare in un’unica indicazione ciò che serve per migliorare le nostre conversazioni, questa indicazione suonerebbe così: “investi tempo ed energie per apprendere e praticare l’ascolto, in particolare l’ascolto riflessivo”. L’ascolto riflessivo è fatto di due semplici passi: per prima cosa, chi ascolta si apre all’ascolto e a ricevere pienamente ciò che l’altra persona dice, senza interrompere, lasciando che il flusso dei pensieri di chi parla possa dipanarsi proprio mentre parla. Successivamente, l’ascoltatore può restituire, dopo averlo ricevuto, ciò che ha ascoltato e lo riflette a chi ha parlato (possibilmente usando lo stesso linguaggio che ha usato chi ha parlato, limitando interpretazioni e parafrasi e senza aggiungere nulla di diverso da quanto si è ascoltato), chiedendo conferma che sia stato recepito in modo accurato. E’ molto semplice, ma spesso non lo facciamo. A proposito di parafrasi, ce n’è una che mi piace molto e che fa evolvere il famoso detto cartesiano “Cogito, ergo sum”, Penso, dunque sono. Mi piace molto quest’altro: “Ascolto, dunque sei”. Ascoltare permette all’altro di esistere, di esserci, di offrirsi, di far venire fuori ciò che potrebbe faticare ad emergere (o non emergere affatto) se fosse interrotto.

2. Parla con Intenzione

“Perché vuoi dire ciò che stai per dire?”

Parlare con Intenzione è un invito a scegliere ciò che si vuole dire, se lo si vuole dire, quando lo si vuole dire e in che modo lo si vuole dire. E’ quindi un invito prendersi cura del modo con cui si comunica: le parole che si scelgono, il tono con cui le si dice, l’energia emotiva che trasportano. E’ un invito all’intenzionalità e sottende, se vogliamo, anche l’incoraggiamento alla chiarezza, ricordando che la comunicazione è chiara se lo è per chi la riceve. A volte ci esprimiamo in modo poco accurato e il nostro messaggio può risultare contorto persino a noi stessi. Una pausa di riflessione per raccogliere le idee e iniettare intenzionalità in ciò che vogliamo dire, potrebbe rendere onore a noi stessi e al nostro interlocutore. E potremmo scoprire, in quella breve pausa, che il nostro messaggio può macerare ancora un po’ nel nostro spazio interiore, per levigare il suo potenziale o per elidersi definitivamente, facendo posto all’ascolto. La nostra difficoltà a parlare in modo chiaro e diretto può avere origine nella nostra difficoltà su temi delicati come la giustizia sociale, le dinamiche potere, l’identità: potremmo cadere vittime del nostro stesso punto di vista ed esprimerci in modo che risulta dogmatico o ipocrita. Per evitare questo, capita che ci addentriamo in ricerche arzigogolate, circonlocuzioni e giri di parole che ci danno l’impressione di essere rispettosi, un “dico e non dico” che in realtà non produce grandi effetti nella conversazione, se non il rischio di rimanere al livello della “buona educazione” e, peggio, di generare ulteriore confusione. Meglio raccogliere bene le idee, fare una breve conversazione con noi stessi su quello che vogliamo dire e chiederci se è effettivamente ciò che vogliamo dire e perché lo vogliamo dire. Ha senso prendersi cura anche del tipo di contesto e di cultura nel quale avviene la conversazione e, anche in base a questo, chiedersi perché, che cosa e come vogliamo dire. A volte una intenzione sacrosantamente integra dal punto di vista della nostra cultura può risultare totalmente altro in una cultura diversa. Dare un feedback in modo chiaro e diretto in Italia, in Olanda o in Cina potrebbe richiedere modalità piuttosto diverse. La nostra “buona intenzione” potrebbe richiedere più cura e più tempo per entrare nel circolo della conversazione e magari ci arriva in un modo che non è quello che corrisponde alle nostre aspettative.

3. Cerca il bene del Cerchio

“Be for each other”

Cercare il bene del Cerchio significa “essere gli uni per gli altri”. Significa ricordarsi che, anche quando non ne avremmo voglia, noi siamo lì per volere il meglio per gli altri. Le nostre differenze possono generare un senso di separazione o una reazione del tipo “fight or flight” (che non farebbe altro che aumentare il nostro livello di ansia). Quando ci sentiamo attivati, i segnali che ci giungono dalle sensazioni fisiche è che qualcosa sta andando storto o che qualcosa di “brutto” sta per succedere. In situazioni come questa, è facile sentire che con noi non ci sono più colleghi, amici, alleati: ci sono pericoli, nemici, rischi. Quando più tardi ci saremo calmati, le sensazioni sgradevoli svaniscono e quelle positive ritornano. Essere gli uni per gli altri non è uno slogan infantilmente consolatorio: è un aggancio cognitivo che ci può letteralmente permettere di rimanere connessi agli altri mentre attraversiamo gli alti e i bassi di conversazioni complesse. La potenza di queste pratiche è che le si pratica insieme e individualmente allo stesso tempo. Ciascuno dei principi funziona come un faro e offre dei riferimenti, soprattutto quando la situazione si fa difficile, tesa o senza apparente via d’uscita. Le pratiche ci offrono in modo semplice e chiaro come farlo.

Gli Accordi

All’inizio di ogni sessione di Circle, solitamente si stabiliscono degli “Accordi” tra i partecipanti.

Tra gli accordi, ad esempio, è molto importante quello sulla Riservatezza. In realtà, può essere molto di più: può essere un accordo esplicito sul creare un contesto accogliente e sicuro per la nostra conversazione. E’ molto utile un accordo sulla durata del Cerchio e sul tipo di flessibilità e disponibilità tra i partecipanti rispetto al tempo; la sequenza o modalità di passaggio della parola (ad esempio con l’uso di un “talking stick” o con altra modalità); il fatto di essere intenzionali, curiosi ed empatici con il nostro ascolto durante la sessione; il fatto di chiedere ciò di cui abbiamo bisogno e di offrire ciò di cui abbiamo disponibilità (ricordandoci che, mentre non possiamo dare ciò che non abbiamo, può capitare a volte che non ci rendiamo conto del fatto che ciò che abbiamo da dare è molto di più di ciò che pensiamo). Tra gli accordi, può esserci anche l’assegnazione del ruolo di “guardiano” del cerchio a uno dei partecipanti: il guardiano ha il compito semplice ed essenziale di ricordare a tutti, quando si renda necessario, i principi guida e gli accordi presi. Per farlo, a volte è sufficiente che il guardiano chiami un breve momento di pausa silenziosa, durante il quale le persone possano riconnettersi con se stesse, con i principi e le pratiche del Cerchio e con l’Intenzione. Ci sono tanti modi semplici e creativi con cui il guardiano può invitare a una pausa. A me ne piacciono due in particolare: il suono dei cimbali, un tocco discreto e pulito, offerto con l’intenzione del trovare silenzio dentro e fuori di sé, lasciando che il suono si estenda per tutta la sua durata. L’altro consiste nel semplice gesto di alzare il braccio verso l’alto, magari con l’indice che punta all’insù, ad indicare che, qualunque cosa stia succedendo in questo momento, possiamo ricordarci di aver condiviso una Intenzione e possiamo riconnetterci con essa. Questi rituali (o altri, che possiamo creativamente proporre) durano pochi secondi e hanno il grande potere dell’Invito. Ho scoperto con un certo gusto che tutti i rituali possono fare da ancoraggio per i nostri neuroni, riordinano, per così dire, chiamano a raccolta e invitano a rifocalizzare le energie dell’attenzione, che rischiano a volte di distrarsi o di ritrarsi.

 

Scritto da Delfino Corti, Senior Consultant e Executive Coach Impact Italia

(Leggi la seconda parte dell’articolo dedicata alle Intenzioni qui)

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