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Leadership

Leadership autentica: il percorso di Simona Comandè tra coraggio ed empatia.

Simona_Comande_Philips
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Head of Marketing Region Europe & Events dal 2023 per Philips, Simona nasce in Finlandia da madre finlandese e papà siciliano. Dopo la laurea in ingegneria chimica entra in Johnson&Johnson Medical, dove ricopre diversi ruoli in sales, marketing e operation. Nel 2017 inizia la carriera in Philips, dove nel 2019 diventa General Manager per l'Italia, Israele, Grecia, contribuendo a trasformare la  cultura organizzativa dell’azienda e a ridefinire i confini del settore health. Dopo aver assunto diversi ruoli di crescente responsabilità  a livello internazionale, a maggio 2023 viene nominata Head of Marketing Europe oltre alla responsabilità di tre Centri di Eccellenza a livello globale (Eventi, Market Insight & Analitycs e Marketing Excellence).

ELENA CERIOTTI

Grazie per aver accettato di raccontarci qualcosa di te e del tuo percorso. Partiamo da oggi: come sei arrivata a ricoprire ruoli apicali?

SIMONA COMANDE'

Per iniziare da oggi, devo tornare un po’ indietro. Sono laureata in ingegneria, un percorso che ho scelto perché da sempre le materie STEM mi hanno affascinata: la mia ambizione era diventare ingegnere.

Appena laureata ho cercato lavoro e scoperto con qualche sorpresa che nel campo dell’ingegneria chimica ambientale, la mia specializzazione, c’era molta precarietà. Decido così di rispondere ad un annuncio per un ruolo di vendita nel settore medicale. Ho pensato che nel frattempo potesse essere una buona occasione per fare esperienza, non la vedevo come una carriera a lungo termine. Sicuramente avrebbe aggiunto un’esperienza commerciale alle mie competenze tecniche, quindi mi sono lanciata. 

Questo è stato un primo gradino: mi sono resa conto che lasciarsi influenzare da bias personali – allora ero una persona timida e quindi un ruolo come quello commerciale lo vivevo come un qualcosa di “aggressivo”,  distante dal mio modo di essere - rappresenta un ostacolo che noi stesse ci formiamo. Chi mi ha conosciuta agli esordi e mi vede ora si rende conto del grande cambiamento che ho fatto, su me stessa prima di tutto. 

ELENA

Quindi potremmo dire che i freni partono da convinzioni interne? 

SIMONA

In parte sì. Ci sono chiaramente anche delle forti componenti culturali: come donne sentiamo sempre di dover dimostrare le nostre competenze. Non basta ciò che sappiamo o che impariamo con l’esperienza. Noi dobbiamo comunque sempre lottare per dimostrare quello che sappiamo o abbiamo imparato. E soprattutto, siamo convinte che non si debba mai chiedere. Questo è uno degli insegnamenti più sbagliati di sempre! All’inizio della mia carriera, ero convinta che se avessi dimostrato la mia capacità, gli altri si sarebbero accorti delle mie potenzialità e mi avrebbero supportata, scelta, promossa.

ELENA

Invece non è stato così? Cosa è successo?

SIMONA

Ti racconto un aneddoto: uno dei capi che ho avuto, mi ha chiamata e mi ha fatto una domanda che mi ha letteralmente spiazzata. Mi ha detto: Simona, tu sei brava, sei competente … tuttavia non ho ancora capito se vuoi metterti il pettorale e correre questa maratona. Ecco, questa metafora mi ha aperto gli occhi: ho capito che se volevo qualcosa, dovevo chiederla, farmi avanti. Invece molto spesso noi donne siamo bloccate dal bias che chiedere non sia corretto. 

Anche per questo motivo quando faccio dei colloqui chiedo sempre alle persone dove si vedono tra dieci anni. So benissimo che non tutti hanno una chiara visione del loro futuro, ma saper esprimere le proprie aspettative, anche se poi nel corso del tempo si modificheranno, mi aiuta a leggere la determinazione nel voler ricoprire certi ruoli. Questo aspetto per me si lega anche ad un’altra componente fondamentale: quanto ci sentiamo pronte per assumere nuove responsabilità.

ELENA

Questo tema del chiedere torna spesso anche nelle conversazioni che abbiamo con molte donne nelle organizzazioni con cui lavoriamo. Si incontrano molto più frequentemente uomini che vengono premiati e hanno avanzamenti di carriera con competenze quantomeno paragonabili a quelle di molte donne, che invece restano, diciamo così, ferme al palo. Tu quando hai deciso che era diventato il momento di chiedere?

SIMONA

Credo che non esista un vero “tempo”, non dobbiamo aspettare di essere sempre al 100%. Nei ruoli che ho ricoperto e che ricopro tuttora non ho mai avuto il totale controllo di tutti gli aspetti legati a quei ruoli. Non mi vergogno di dire che nelle aree dove mi sento più debole, ricorro al supporto e all’aiuto delle persone che lavorano per me, anzi, con me. Io sono diventata people manager giovane, a 27 avevo un gruppo di persone da gestire. Puoi immaginare che non sia stato semplice, sia perché alcune erano state precedentemente colleghe ed in alcuni casi con un età maggiore della mia che  in qualche caso mal digerivano un capo giovane, sia perché la mia esperienza era ovviamente agli inizi.

ELENA

Davvero una situazione un po’ scomoda. Quali sono state le competenze a cui hai fatto appello in quel caso?

SIMONA

Sicuramente l’ascolto, e riconoscere di dover imparare, in quella circostanza ho capito che mettersi in ascolto delle persone poteva essere la chiave per riuscire a mantenere il controllo esercitando però empatia e condivisione. E ha funzionato.

ELENA 

C’è un altro tema che ricorre: quello dell’energia. Cosa significa per te questo termine nelle organizzazioni?

SIMONA

Per me è cruciale cogliere l’energia e la motivazione nelle persone e nelle mie giornate. Ogni volta cerco di capire cosa mi dà energia, quali sono le cose che mi motivano: possono essere anche cose legate al successo degli altri. I ruoli che ricopro ora sono certamente più direzionali. Quindi ricavo energia anche dal saper indirizzare in modo vincente le persone con le quali collaboro.

Un’altra delle domande che faccio spesso alle persone che intervisto è che cosa ti motiva e ti dà energia e che cosa te ne sottrae. Oltre a capire cosa motiva, mi incuriosisce anche conoscere cosa assorbe energie. Io ad esempio mi sento molto affaticata dalle discussioni legate, diciamo così, alla burocrazia interna alle aziende: processi, ruoli responsabilità, chi fa cosa, chi deve informare chi. Capisco, ovviamente che sono discussioni fondamentali per poter gestire al meglio le organizzazioni, ma personalmente le soffro, mi richiedono grandi energie che vorrei dedicare ad altro. Trovo invece assolutamente inutili le conversazioni che tendono a rimettere in discussione decisioni già prese. Ne abbiamo parlato, discusso e abbiamo trovato un modo per far funzionare le cose? Ottimo! Allora perché a volte si sente l’esigenza di rimettere tutto sul tavolo?  In queste circostanze trovo fondamentale comunicare il mio disagio. Mi spiego: avere delle conversazioni per me significa anche avere confronti aperti in cui poter  comunicare anche il proprio dissenso. Farlo in modo costruttivo, spiegando perché si è in disaccordo o cosa sta creando un senso di fatica. Far emergere le proprie emozioni ritengo sia assolutamente generativo. Parlare di ciò che si sta provando aiuta a riconoscere quell’emozione e a gestirla, senza esserne sopraffatti, soprattutto se si tratta di emozioni più forti e negative. E’ un tratto della leadership femminile per me essenziale e complementare a tratti di leadership più maschili. Anche se sono connotazioni rigide che hanno poco senso. 

ELENA

Usare le emozioni per comunicare in azienda. Sembra quasi un paradosso. Invece portare avanti un rapporto incentrato sulle persone si basa anche sull’accettazione e la condivisione delle emozioni. Far emergere una parte di vulnerabilità come dicevi giustamente, generativa. Ci vuoi raccontare un episodio per te significativo in tal senso?

SIMONA

Certamente. Qualche anno fa avevo nel mio team un ragazzo molto bravo, ma facevo molta fatica a gestirlo. Durante una riunione abbiamo avuto l’ennesimo scontro verbale e ho capito che così non saremmo riusciti ad andare avanti. Allora siamo usciti a cena e gli ho detto chiaramente qual era per me la situazione e cosa non capivo: mi sono mostrata vulnerabile, non ho usato la mia posizione gerarchica per prevalere, ma ho preferito aprire la discussione facendogli capire che il rischio era vivere entrambi in un clima pesante e difficile. Lui ha apprezzato la sincerità, ha capito che ero disponibile al dialogo e all’ascolto e da allora le cose hanno preso a funzionare.

ELENA 

Molto bello. Questo episodio mi fa tornare in mente una chiacchierata che avevamo fatto tempo fa sul coraggio e la paura e su come il dialogo e la condivisione delle proprie emozioni sia in grado di trasformare la paura in coraggio.

SIMONA

Esattamente. Mi ricordo un coach che mi disse che il coraggio non è altro che l'assenza di paura. Questa frase mi è sempre piaciuta molto. Non dobbiamo necessariamente essere sempre Wonder Woman o Superman per essere coraggiosi, ma semplicemente in quel momento non dobbiamo percepire la paura, e muoverci verso il nostro obiettivo con coraggio, esprimendo il nostro pensiero, che magari è divergente rispetto a quello dei nostri interlocutori. Nelle organizzazioni lavoriamo tutti per un comune obiettivo e cioè far progredire la nostra azienda. Quindi se credo in quello che sto facendo e sono convinta che porti un vantaggio al business, devo cercare di non farmi frenare dalla paura e andare avanti, insieme alle persone che lavorano con me.

ELENA

Parliamo ora di persone, del team e delle alleanze. Cosa rappresentano per te nella tua vita lavorativa? Pensi sia essenziale costruire alleanze?

SIMONA

Devo darti una risposta un po’ articolata.

Partiamo dal presupposto che personalmente non sono mai stata una grande fan del Networking. Inizialmente vivevo questa necessità di creare alleanze, o fare networking come un modo per arruffianarsi i capi, le persone in generale. Mi riconosco come una persona sempre molto fedele a me stessa e al mio pensiero, ne ho sempre fatto la base del mio lavoro. Quindi seguire le correnti o peggio ancora crearle mi ha sempre dato molto fastidio. 

Col tempo ho invece compreso il vero valore del networking, che vedevo solo nella sua accezione negativa. Innanzitutto, le aziende negli ultimi anni si sono trasformate profondamente e sono passate da organizzazioni verticali a organizzazioni a matrice. Questo porta sempre di più a collaborare con funzioni trasversali, che richiedono una maggiore comprensione e consapevolezza dei ruoli e del sistema in generale. Per questo è diventato critico sapersi muovere sui team multifunzione con dimestichezza e questo lo puoi fare solo se crei delle alleanze e un networking di valore. Essere ben connessi con tutte le varie funzioni dell'azienda, sapere chi sono, creare relazioni, comprendere come ragionano ti permette anche di raggiungere gli obiettivi in modo più rapido e sicuro. 

In generale quello che voglio però mantenere nel modo in cui mi relaziono con gli altri, sia attraverso canali social che internamente all’azienda è la mia autenticità, non venire meno a me stessa. 

ELENA

Sono d’accordo: se siamo autentici, trasmettiamo più fiducia e le persone saranno anche più felici di collaborare con noi. Questo immagino valga anche per come interpreti il tuo ruolo di Leader.

SIMONA

A maggior ragione, direi! Ho sempre pensato che non ci sia un solo modello di leadership, ma che dobbiamo adattare la nostra leadership alla circostanza, alla situazione, mantenendo però la coerenza di pensiero e agendo da leader. Portando anche il nostro esempio, facendoci role model. In questo rientra anche tutto il tema del coraggio e delle emozioni di cui abbiamo parlato. Tutto questo porta a costruire un proprio modello di leadership personale.

ELENA 

Agire la leadership è uno dei nostri mantra da sempre, quindi possiamo capire molto bene il tuo punto di vista. Ti faccio ora l’ultima domanda, riportando al centro il tema del purpose, di cosa è importante per noi, davvero. E su questo ti chiederei una tua riflessione sull’aspetto della conciliazione, tema così faticoso e così importante per tutti e in particolar modo per noi donne.

SIMONA

Noi abbiamo deciso di promuovere dirigente una nostra collaboratrice che ci aveva appena annunciato di aspettare un bambino. Ben consapevoli che la maternità l’avrebbe allontanata qualche mese dal ruolo, le abbiamo assolutamente confermato la nostra fiducia. E siamo andati avanti senza problemi. So bene che molte realtà sono diverse, tuttavia ritengo che se c'è una scelta personale che per noi è importante, bisogna prenderla e proseguire, senza condizionamenti esterni. Perché nel momento in cui ci sentiamo serene e bilanciate nella vita personale lo siamo in automatico anche in quella professionale e possiamo dare il massimo. 

ELENA

Grazie Simona, ci hai fatto riflettere su molti aspetti davvero fondamentali: il coraggio, le conversazioni, il team, la conciliazione e la leadership. Ne sono uscite parole di grande valore che sono certa potranno essere uno spunto per molti per costruire le proprie carriere lavorative, ma anche per la propria vita personale.