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Wellbeing in azienda: tema core della felicità

Wellbeing in azienda: tema core della felicità
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“Il successo non è la chiave della felicità. La felicità è la chiave del successo, se ami ciò che stai facendo, avrai successo.” Albert Schweitzer

Sentire parlare di felicità nelle nostre organizzazioni è piuttosto insolito: se chiedessimo ai collaboratori di compilare un elenco delle priorità o di buoni propositi sul lavoro, sarebbe improbabile leggervi questo termine. Di certo si vedrebbero parole più in auge nell’ambito della formazione aziendale e del management tradizionale: produttività, resilienza, efficienza, raggiungimento degli obiettivi… Quanto alla parola 'felicità' raramente è associata all’ambito professionale. 

Sembra forse più facile definirla in relazione alla propria vita personale, al di fuori del lavoro, in cui ognuno può affermare senza difficoltà, in modo quasi istintivo, di cosa ha bisogno, cosa lo rende felice. Ma già la difficoltà nel precisarne il significato generale  potrebbe di per sé evidenziare la poca dimestichezza con questo tipo di emozione (come  un po’ forse con tutte le emozioni).

A maggior ragione, trovare una definizione soddisfacente della propria felicità al lavoro è problematico, perché non accade spesso che ci si soffermi a riflettere su cosa, nell’ambito delle nostre organizzazioni, ci renda veramente felici. Spesso quindi la felicità sul posto di lavoro non solo non è considerata una priorità dal momento che altri indicatori prendono il sopravvento nella valutazione della performance o nella definizione degli obiettivi (indicatori quali: redditività, produttività, soddisfazione dei clienti,...), ma nemmeno viene considerata e riconosciuta come criterio chiave per misurare il successo e o la salute di una azienda.

Eppure, la felicità è uno tra gli indicatori chiave del benessere e questo ha un impatto innegabile sul contributo che possiamo offrire all’organizzazione. 

Ma cosa si intende per felicità?

Innanzi tutto, è bene distinguere la felicità dal quello che in inglese è definito ‘happiness’. Benché si traducano l’una con l’altra, queste due parole rimandano a qualcosa di profondamente diverso: l’etimologia del termine ‘felicità’ in inglese deriva da ‘happ’ che significa ‘fortuna’ o ‘opportunità’, qualcosa che accade, semplicemente, secondo i capricci del destino. 

La parola italiana felicità, invece, ha la stessa radice del latino fecundus, fertile, stando ad indicare uno stato che va coltivato, per far nascere nuovi frutti; l’etimo rimanda al significato di ‘generare’, ‘far crescere’. In questo senso, il termine italiano stringe una connessione con l’idea aristotelica che sia la ricerca di significato e il coinvolgimento con la vita a favorire l’autorealizzazione degli individui e la sensazione di felicità.

La felicità e le sue ricadute

Ci sono diversi motivi correlati per cui la felicità delle persone dovrebbe diventare un tema centrale e prioritario nelle organizzazioni. Le persone infelici e che non trovano nessun tipo di soddisfazione nello svolgere il proprio lavoro, non sono così produttive  quanto questo mondo competitivo richiede; e siccome la società contemporanea offre, da una parte opportunità senza precedenti, dall’altra sfide inedite, le organizzazioni hanno bisogno creare contesti in cui le persone siano invitate a riflettere su ciò che possa generare in loro quella parte di soddisfazione e benessere necessari per definirsi felici. Solo così è possibile raccogliere, da parte di tutti i collaboratori, le migliori espressioni di sé e del proprio potenziale.

Per questo motivo, le organizzazioni ‘infelici’ potrebbero essere un rischio che non ci possiamo permettere; senza contare l’impatto e le ricadute che l’essere infelici al lavoro può generare anche negli altri contesti. Pensare infatti che lo stato emotivo che proviamo ogni giorno svolgendo il nostro lavoro, possa essere limitato alle sole ore trascorse in azienda e lasciato alle spalle una volta chiusa la porta dell’ufficio è illusorio: se siamo infelici sul lavoro, è probabile che lo siamo anche fuori (e viceversa). Quindi, le organizzazioni intese come luoghi dove la felicità fiorisce svolgono un ruolo importante anche per generare benessere nelle comunità, nelle famiglie e nelle singole persone.

Come portare la felicità nelle organizzazioni

Come possiamo essere felici al lavoro? E cosa possono fare le organizzazioni per coltivare la felicità dei propri collaboratori?

Queste domande mostrano due aspetti che possono concorrere a rendere i luoghi di lavoro più soddisfacenti anche a livello personale. Da una parte, infatti, si tratta di conoscere sé stessi: se pensassimo a cosa ci fa stare bene e compilassimo una lista ideale delle attività e delle situazioni che aumentano il nostro livello di soddisfazione, di felicità e di benessere, scopriremmo che almeno una parte delle voci dell’elenco si potrebbe applicare alla nostra giornata lavorativa. 

La felicità quindi rientra nel dominio delle nostre possibilità e responsabilità individuali che ciascuno di noi deve proteggere e custodire, ed è anche una capacità che tutti abbiamo: si tratta di coltivarla e svilupparla in noi stessi e, perché no, anche nelle altre persone. 

Dall’altra parte, le persone felici hanno una visione per il futuro e si impegnano in modo proattivo per realizzarla, lavorano per un obiettivo, imparando e adattandosi continuamente. infatti, avere la consapevolezza che il nostro lavoro sia rilevante per qualcuno, conoscere e condividere lo scopo ultimo che l’organizzazione persegue è fondamentale, (per approfondire leggi l'articolo: "Leadership Trasformazionale: l'importanza del purpose") quindi, per sentirsi soddisfatti anche al lavoro. Per questo, le organizzazioni che vogliono promuovere la felicità devono saper comunicare chiaramente la propria vision e collegarla al ruolo di ogni collaboratore, riconoscendone e valorizzandone il contributo di ciascuno.

E poiché l’essere umano, come scrisse il filosofo greco Aristotele, è un animale sociale e le sue soddisfazioni più profonde dipendono in gran parte dalla qualità delle relazioni che stringe con gli altri, più i rapporti tra le persone nelle organizzazioni saranno positivi, più i collaboratori potranno essere felici.