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Leadership

Leadership: il paradosso della resa

Leadership: il paradosso della resa
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Il tema della Leadership è senza dubbio molto inflazionato: migliaia di libri, articoli, corsi, riviste, video, blog e app vengono prodotti ogni mese in tutto il mondo su questo argomento, cercando di rispondere a una crescente domanda di senso sul destino delle organizzazioni, delle società e di chi, all’interno di esse, ricopre ruoli di responsabilità e di guida.

Genericamente, sembrerebbe che molti di questi testi cerchino di rispondere alla domanda “che cosa significa essere leader e come si può diventare tali”. 

In realtà, ponendo il tema in questi termini, sono già stati dati per scontati alcuni presupposti di fondo e si è già fatta una scelta di campo, si è già operata una selezione. 

Ovvero, si è deciso che esiste un profilo in qualche modo ideale del leader, una sorta di modello a cui ispirarsi, definito da un insieme di caratteristiche che, una volta costruite, possono essere incarnate (o almeno indossate) da chi lo desiderasse. 

Questo modo di porre il tema ha senz’altro una sua dignità e ci sono migliaia di testi che, in un modo o nell’altro, vanno in questa direzione, definendo un “modello” e proponendo ciascuno la propria lista di caratteristiche e il proprio modo per costruirle. 

Tutti degni di rispetto. Alcuni interessanti. Nessuno imperdibile.

Forse può esserci anche un altro modo di porsi nei confronti di questo tema affascinante. 

Il paradosso della “resa”

Questo altro modo capovolge la questione e rinuncia a definire il modello di “leader” e le caratteristiche che lo contraddistinguono, fermandosi su un presupposto molto scarno, senza il quale forse si rischia di non dare respiro e coraggio all’esperienza della Leadership.

Il presupposto è che non esiste leader o leadership in grado di dare risposte definitive a domande del tipo “qual è il senso del mio, del nostro essere quidel nostro fare?”

Sono proprio certe domande a precedere la questione della leadership e a contenerla. 

Pensiamo ad esempio al contesto attuale, per descrivere il quale sempre più spesso usiamo la parola “complessità”, nel quale le organizzazioni vivono la crescente tensione tra il bisogno di leadership distribuita e il bisogno di risposte da parte dei singoli, nel quale rimaniamo spesso appesi a dilemmi senza risposte, privi anche del linguaggio per esprimere esattamente ciò di cui pensiamo di aver bisogno. Nel business, nelle comunità, nelle istituzioni, nelle famiglie.

Sì, forse ciò che chiamiamo “leadership” avviene nei contesti in cui ci si autorizza a formulare certe domande, innanzitutto a se stessi.

Sono quelle domande che danno luogo alla richiesta di un senso e che danno vita al bisogno fondamentale di trovare una direzione, di volgersi da qualche parte e di muoversi da dove ci si trova. 

E questa richiesta può diventare così pressante da manifestare la nostra inadeguatezza e far emergere i nostri limiti, mostrarci i nostri attaccamenti, i nostri blocchi e generare paura, ansia, rinuncia, forse disperazione. 

Allora ci si può appellare a qualcuno che possa salvarci da tutto ciò e andare alla ricerca di questo qualcuno, anziché fidarci di noi stessi. Qualcuno a cui delegare la responsabilità. Spesso chiamiamo leader quel qualcuno.

Possiamo anche provare ad arrenderci alla pressione di quelle domande, lasciarle operare e lasciarle compiere la loro opera di trasformazione. E vedere che succede. 

Quella stessa pressione può scoperchiare il tesoro delle nostre risorse nascoste, evocare il nostro coraggio, richiamare la nostra audacia, stimolare la nostra passione e può generare una risposta diversa, un salto, una evoluzione, una trasformazione. 

Ci fa affrontare la paura e il rischio, ci mette davanti alla possibilità di una consapevolezza nuova, ci mostra il limite come un insieme di possibilità nuove, dà corpo alla nostra creatività, fa appello al senso del sacrificio, quello che accetta che possiamo essere spogliati e che alcune parti di noi possano morire per lasciare il posto a qualcosa di nuovo. 

Oltre il limite c’è inesorabilmente l’ignoto, come oltre ogni morte. 

Ma forse questo potrebbe essere un punto di ripartenza.

Se volessimo racchiudere questo processo in una parola, mi verrebbe “Autenticità”, il non nascondersi a se stessi, guardando con coraggio sia i lati più ricchi e sontuosi del nostro sé che quelli più oscuri e abbietti. Onorando gli uni e gli altri. 

E con coraggio, con autenticità, vedere ancora meglio quel punto di partenza. 

Credo che questo sia un presupposto interessante in merito al tema della Leadership.

Ci sono alcune domande che possono avere un effetto leva e “lavorare” per noi nell’azione di scavo. Proviamo a formularle e a delegare loro questo compito di andare in profondità. 

Pronti? Via.

 

Delfino Corti è Senior consultant e facilitator. Lo puoi contattare qui.