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Lavoro flessibile e ibrido: un'opportunità per culture più umane

Lavoro flessibile e ibrido: un'opportunità per culture più umane
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Luoghi diversi, orari diversi, divisi tra ufficio e casa, tra competenze e ruoli variabili: l’evoluzione dello smart working è il lavoro ibrido, una soluzione adottata per affrontare una situazione di emergenza, ma destinata a rimanere e a sostituirsi a forme di lavoro più tradizionali. 

L’accelerazione data alla trasformazione dei luoghi di lavoro in questi due anni di pandemia può trasformarsi in un vantaggio strategico, a patto di trasformare anche la cultura organizzativa in modo che, da un lato, faccia sentire a proprio agio i lavoratori in remoto, dall'altro, stimoli un’attività di leadership orientata - dalla fiducia - alla misurazione di  risultati, più che del tempo trascorso alla scrivania; che consenta il coinvolgimento attivo e stimoli la condivisione e la creatività dei team.

In questa forma di lavoro ibrida, il digitale è la porta di accesso che collega i collaboratori de-localizzati all’organizzazione, ma, al di qua e al di là di questo punto di contatto, vi sono le persone.

Il valore delle soft skill nel lavoro digitalizzato

Il lavoro ibrido mette al centro l'umanità. Infatti, proprio questa modalità di lavoro, che si caratterizza per un utilizzo massivo di strumenti digitali, si manifesta nella sua versione migliore e più efficace, quando al centro si mettono le persone.

L’uso di software e strumenti tecnologici non deve distogliere l’attenzione dalla necessità di una rinnovata cultura manageriale che sia più collaborativa, attenta alla socialità, intesa come valore imprescindibile anche per le organizzazioni, e rispettosa del work-life balance.

Durante il periodo di lavoro da remoto imposto dalle circostanze della pandemia, i collaboratori hanno potuto constatare gli effetti positivi di forme di lavoro ibride, che hanno creato nuovi e più ampi spazi per la gestione della propria vita personale. Una consapevolezza che richiede di essere compresa e valorizzata dal Management.

Le organizzazioni sono comunità, che plasmano le identità e incidono sul bisogno di appartenenza; come afferma Peter Drucker “non hanno nulla a che fare con il potere, ma con la responsabilità” e questa coinvolge in primis i leader. Il ruolo di chi ha funzioni di coordinamento nel team diventa dunque strategico in questa prospettiva di organizzazione “umanizzata” e le abilità, che consentono questa transizione, sono indubbiamente quelle relazionali, comunicative, empatiche. In definitiva, risultano centrali le soft skills, le stesse competenze sociali che si rivelano determinanti nella collaborazione con i propri colleghi, soprattutto a distanza.

Lavoro ibrido, tra nuove necessità e nuovi equilibri

Se il  lavoro smart, agile, da remoto, ibrido ha portato in scena nuove forme di collaborazione, va tenuto in considerazione il fatto che gli attori sono rimasti gli stessi: le persone, con i propri bisogni, le proprie emozioni, i propri desideri. Alcuni di questi, anzi, sono stati acuiti dalla mancata partecipazione all’attività in ufficio, dall’isolamento in casa, da relazioni che passano attraverso strumenti tecnologici che avvicinano le persone lontane, ma le lasciano da sole di fronte a un monitor.

Proprio per controbilanciare gli effetti del trasferimento del lavoro al mondo virtuale, è opportuno trovare nuovi modi per arricchire le persone, valorizzandole in quanto risorse fondamentali, e rendendo lo spazio virtuale, anche un luogo di condivisione, un luogo di scambio sociale generativo e ricco, improntato a un’etica relazionale, responsabile e partecipata.

La necessità di comprendere i bisogni degli altri e la flessibilità sono i cardini su cui si possono costruire forme di lavoro ibrido efficaci e diventano anche elementi interessanti di sviluppo a vantaggio dell’organizzazione. Infatti, abituano le persone a confrontarsi con elementi imprevisti, a sviluppare la capacità di problem solving, a essere più agili.

Il lavoro ibrido sviluppa la flessibilità, esercitando la capacità di apprendere durante il work in progress e di sapersi muovere assieme agli altri, come in un’orchestra ben diretta. Acquisire la capacità di adattarsi a fattori esterni rende più facile anche lavorare in un mondo dirompente, volatile e imprevedibile come quello attuale.

L’impatto personale e sociale del lavoro ibrido

Il lavoro ibrido contribuisce, quindi, ad affinare competenze fondamentali per le organizzazioni, ma comporta per i singoli il rischio di iperconnessione e, paradossalmente, la riduzione della socialità connaturata al lavoro in presenza. 

Quando è improvvisato o gestito senza tener conto delle esigenze dei singoli individui, il lavoro agile diventa invadente rispetto agli spazi privati (per un'approfondimento leggi l'articolo: "Remote team working: le sfide da affrontare"), limitando il diritto a essere ‘disconnessi’ dall’ufficio, rendendo ogni collaboratore perennemente reperibile, cancellando il confine tra vita professionale e privata. 

Eppure, all’estremo opposto della connessione senza limiti, vi è il rischio di isolamento, che è una conseguenza meno intuitiva, determinata dall’eccesso di ‘relazioni’ virtuali. Per questo motivo il lavoro agile, o ibrido, è soprattutto e prima di tutto un approccio diverso all’organizzazione: un ripensamento  dei tempi, degli spazi, dei modi di lavoro e delle basi su cui si fondano le relazioni tra collaboratori e impresa.

Le premesse da cui prende avvio premiano la flessibilità e l’autonomia, la capacità di delega e di valutare i risultati raggiunti, in una chiara visione di ciò che richiede o meno la presenza dei collaboratori. In quest’ottica è importante quindi avere, ognuno nei suoi spazi di autonomia organizzativa, la contezza dell’impatto che le proprie scelte hanno sul lavoro dei colleghi, nonché la consapevolezza che il benessere e lo stile di lavoro che consente di raggiungerlo possano essere differenti per ciascuno.

Questa attenzione all’individuo permette di valorizzare l’individualità come elemento di ricchezza per l’organizzazione, portando con sé la responsabilità di sviluppare il talento dei collaboratori a favore degli obiettivi strategici dell’impresa. Perché solo mettendo al centro le persone e gestendole nel rispetto di ciò che è meglio per loro, esse daranno il meglio di sé (per un'approfondimento leggi l'articolo: "Umanità e relazione al centro del cambiamento").